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Contributi

Red Lab 

Deborah Raimo- Il suono dell'immagine 

a cura di Roberto Mutti 

“iGIGANTI” photoSHOWall

Roberto Mutti

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Una cornice è quasi sempre concepita come un elemento accessorio il cui compito è quello di supportare l’opera in uno spazio, di conservarla, proteggerla da fattori esterni.

Per tutte queste ragioni la parete photoSHOWall non può essere considerata - anche quando ne sembra ricalcare l’esteriorità - una cornice. Si tratta, al contrario, di un sistema espositivo che stabilisce con le opere uno stretto rapporto dialettico grazie al quale si comprende come forma e sostanza si presentino come due aspetti complementari della stessa realtà. Questo progetto, grazie alla sua modularità, può adattarsi alle diverse esigenze espressive delle opere fotografiche ma può anche permettere loro una diversa fisicità.

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Il concetto base che caratterizza photoSHOWall è la possibilità di accostare i diversi moduli di cui è composto inserendoli in una struttura a capsule. Moduli progettati per accogliere le stampe su lamine di vari materiali montate a diversi gradi di profondità rispetto al filo facciata dell’installazione al fine di ottenere un effetto tridimensionale della composizione nel suo complesso mettendone anche in risalto alcune parti. Il manufatto così costruito può essere appoggiato ad una parete o diventare esso stesso muro autoportante (anche luminoso o contenitore).

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Come sempre succede ai progetti modulari, molte sono le scale possibili della realizzazione finale adattabili al soggetto e alla definizione delle fotografie utilizzate e al progetto allestitivo. Nella serie di installazioni “iGIGANTI” photoSHOWall, firmate anche da importanti autori non solo italiani, l’immagine ingrandita e scomposta è stata utilizzata per creare, in luoghi insoliti, visioni impreviste.

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Ristorante AB - Alessandro Borghese

La mostra in cartolina photoSHOWall

Renzo Basora
(scritto per Voghera Fotografia 2018)

Se la fotografia esce dai luoghi di esposizione (musei, gallerie) e di fruizione (carta stampata) e si diffonde nella città, diventa una forma di arte popolare e, se non vogliamo recuperare questo termine, legato ad esperienze artistiche degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, possiamo dire una forma di visione partecipata. 

 

Si crea una sinergia con l’ambiente urbano circostante e l’immagine vive una nuova vitalità, quella della partecipazione alla vita pubblica, agli scorci cittadini. Una nuova visione della fotografia d’autore, la cui fruizione, se la struttura ideata da photoSHOWall trovasse adeguata collocazione in ambienti urbani, potrebbe diventare diffusa.


Alla base del progetto di photoSHOWall si può individuare una visione dinamica dell’immagine, non più univoca e uniforme, ma articolata e molteplice. La scomposizione delle singole fotografie è solo l’aspetto più evidente di queste immagini ricreate, dove la variabilità della combinazione consente una quasi infinita articolazione nel formulare nuovi spazi, nuovi campi visivi dove i dettagli possono assumere rilevanza rispetto all’insieme; ma è la stessa unità formale a subire una trasformazione intrinseca e strutturale per dare dinamismo alla fotografia che, per sua natura, è statica, assoluta e definitiva. Una gabbia visiva che moltiplica le possibilità del saper vedere.
Per questa esposizione, virtuale, eppure concreta nella sua realizzazione con immagini vere degli autori presenti in Voghera Fotografia accostate a scorci, altrettanto realistici, della città ripresi per l’occasione, si è realizzata una formula di commistione fra più immagini; un’articolazione che propone una nuova cartolina: una doppia lettura delle opere originali dei sette fotografi.


Si è voluto realizzare questo progetto speciale per evidenziare le infinite possibilità creative delle strutture di PhotoSHOWall e per verificare come la fruizione delle immagini può variare in base al contesto in cui vengono collocate e alla cornice con cui vengono presentate. Una riflessione sulla contemporaneità dove il cosa è stato sostituito dal come.

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PAVIA PER LA FOTOGRAFIA

Susanna Zatti
(scritto per Pavia foto festival 2019)

L’approdo quest’anno a Pavia di una manifestazione di livello nazionale quale Milano Photofestival è segno di come la città voglia “dire la sua”, dare un suo contributo di idee e di proposte in questo campo dell’espressione artistica: un campo relativamente giovane -la fotografia non ha ancora compiuto 200 anni- che appassiona soprattutto i giovani, che si manifesta in forme e stili molto differenti e innovativi: esattamente come tutti gli altri generi dell’arte, ma con un’ attenzione speciale sia all’evoluzione tecnica sia al veloce cambiamento della realtà che rappresenta. Per questo il medium fotografico appare oggi lo strumento più idoneo a trattenere (a stento) immagini, impressioni e sensazioni di una realtà che appare sempre più liquida, mutevole, provvisoria.


Pavia vanta una buona tradizione fotografica nel ‘900 dai fratelli Nazzari a Guglielmo Chiolini, solo per citare i professionisti più noti, di cui conserva con rispetto e grande cura gli archivi storici: quelle sono immagini che raccontano di un mondo di (apparente) perfezione, di stabilità, dove tutto è ordinato, dalle architetture geometriche alla composizione dei gruppi sociali, dove la tecnica è controllata, le inquadrature sono nitide, stagliate dalla luce incisa, la messa a fuoco è perfetta.
Le fotografie oggi in mostra a Pavia registrano invece un mondo fluido, di continuo movimento e di trasformazione, dove le persone più diverse si mescolano tra loro, dove forme ed elementi si scompongono e si riassemblano e nel loro modificarsi svelano messaggi nascosti, dove i punti di vista variano facendo variare e rinnovando la loro espressione, dove le imperfezioni e gli sfocati non tolgono valore all’immagine ma le conferiscono inedite suggestioni.


La scommessa della fotografia, su cui da qualche anno Pavia ha puntato -con la creazione del SID (Spazio Immagine e Design) in Broletto, con l’eccellente serie di mostre nelle Scuderie del Castello, con il recente scambio artistico con la Cina-, trova nell’ampio programma espositivo del Foto Festival 2019, pensato e prodotto da photoSHOWall, un ulteriore, significativo tassello lungo un percorso di scambi e rapporti qualificanti tra la città, le sue istituzioni culturali e la creatività artistica. Come a dire che la fotografia può essere il trait d’union per esperienze di rinnovamento sia internamente, sia entro la rete dei rapporti internazionali che Pavia vanta dal suo lontano passato.   
 

Jazz Photo Festival 2019

Luca Cortese


Proprio come nei migliori brani jazz, una mostra pensata per essere itinerante comporta contaminazioni, improvvisazioni, spirito di adattamento, capacità di dialogo, mantenimento di un obiettivo finale, un tema intorno al quale il viaggio nasce, si sviluppa, a volte in modo inaspettato, e a cui inevitabilmente torna per dirsi concluso.
Il jazz è contaminazione di culture, capacità di ascoltare suoni e ritmi diversi, dialogo tra musicisti e strumenti che viaggiando si incontrano e creano territori comuni, musica e ritmo, dialogando e improvvisando, ascoltando e accogliendo, unendo radici lontane tra loro (blues, spiritual, ritmi africani, musica classica, sonorità nordiche, pause, silenzi) per creare un nuovo, emozionante e imprevedibile linguaggio: per chi lo crea e per chi lo ascolta.


In Jazz Photo Festival di photoSHOWall musica e fotografia si incontrano nei ritratti realizzati da fotografi appassionati di musica jazz, dando vita a una mostra affascinante e intensa, che testimonia quanto questo genere musicale sia vivo, multiforme e in continua evoluzione: un viaggio continuo, un susseguirsi di variazioni e improvvisazioni, che pur allontanandosi dal tema originale non perdono mai le proprie radici e si arricchiscono ogni volta di nuova linfa.
Buona visione.

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